2 dicembre 2018, ore 20:30
Auditorio Stelio Molo RSI, Lugano Besso
Paul Claudel (1868-1955)
Tête d'Or
Radiodramma per attori e ensemble
Musica di scena di Arthur Honegger (1947)
Elaborazione per orchestra da camera di Pierre Boulez (1959)
(prima esecuzione svizzera)
Adattamento del testo a cura di Antonio Zanoletti (2018)
Attori del settore prosa della RSI
Testa d’Oro Antonio Zanoletti
Cébès Claudio Moneta
Principessa Lucia Donadio
Re Antonio Ballerio
Voce Narrante Mario Cei
e con Roberto Albin, Matteo Carassini, Igor Horvat, Rocco Schira, Massimiliano Zampetti
Assistente alla regia Sara Flaadt
Regia Claudio Laiso
Produzione RSI Francesca Giorzi
Ensemble900
direzione Arturo Tamayo
Il concerto è trasmesso dalla RSI in diretta radiofonica su Rete Due e in videostreaming
Ensemble900 del Conservatorio della Svizzera italiana
flauti Elisa Persoz, Claudia Fernández Álvarez oboe Andrea Arcieri clarinetto Laura García Itarte fagotto Veronika Kiss (ospite) trombe Matteo Villa, Giuliano Molino (ospiti) trombone Pietro Spina (ospite) arpa Beatrice Melis (ospite) percussioni Paolo Fratello, Rina Fukuda violini Giusy Adiletta, Vincenzo Meriani viola Lorenza Merlini violoncelli Joseph Davies, Nicolò Neri contrabbasso Hiroyuki Tamura
Paul Claudel, Tête d'Or (A.Honegger/P.Boulez)(1959)
La congiunzione Claudel – Honegger - Boulez
Holz e un'antica parola tedesca per dire bosco.
Nel bosco ci sono sentieri che sovente ricoperti di erbe,
si interrompono improvvisamente nel fitto
Si chiamano Holzwege.
Legnaioli e guardaboschi li conoscono bene.
Essi sanno che cosa significa "trovarsi su un
sentiero che, interrompendosi, svia".
(Martin Heidegger, “Holzwege”)
Fra le opere teatrali più enigmatiche della nostra cultura occidentale, possiamo includere Tête d’Or di Paul Claudel, al centro del nostro programma di oggi. Quest’opera misteriosa è una delle produzioni più affascinanti del suo autore che la scrisse appena trentenne nel 1898 poco dopo la crisi che lo condusse dall’agnosticismo ad una convinzione religiosa basata sulla fede cattolica. In essa, secondo Jean-Louis Barrault, Claudel riflette “sulla lotta tra il mondo cristiano e il mondo pagano e sul dibattito interiore tra l'essere di ombra e l'essere di luce, rispettivamente Cébès e Simon Agnel, il quale – quest’ultimo – diventerà in seguito Tête d'Or.”
Questo avviene attraverso una assoluta padronanza dell’uso della parola e del controllo del mondo teatrale, ancor più stupefacenti in un’opera giovanile già peraltro proiettata verso quella rottura delle convenzioni e delle proporzioni temporali che vedranno in Le Soulier de satin il loro apogeo.
L’atemporalità è infatti uno dei temi centrali di Tête d'Or. L'azione può avvenire in qualsiasi momento, passato, presente o futuro. Neanche noi sappiamo né dove si trovano né dove vanno Cèbés e Simon Agnel (protagonisti, citando Barrault, di “una delle scene più straordinarie di amore fra due uomini”, che Claudel chiamava “la scena dell’uomo doppio...”). Non possiamo nemmeno definire dove sono. Soltanto nella ultima parte sapremo che si trovano in un luogo indefinito del Caucaso…
Interessante ritrovare in questo un parallelismo con l’opera Jacques le Fataliste di Denis Diderot in cui l’autore, usando le parole dell’Arte del romanzo di Milan Kundera, “ci presenta i due eroi già in cammino, e noi non sappiamo né da dove vengono, né dove vanno. Si trovano in un tempo che non ha né principio né fine, in uno spazio che non conosce frontiere, al centro di un'Europa per la quale il futuro non potrà mai finire…”.
Tête d'Or fu l'unica opera a non essere rappresentata in forma teatrale durante la vita dell'autore. Fu oggetto soltanto di una versione radiofonica nel 1949, affidata al sempre fedele Jean-Louis Barrault e a Arthur Honegger.
Nel 1958, a tre anni dalla scomparsa di Claudel e Honegger, Barrault decise di aprire la stagione dell’Odeon di Parigi con questo lavoro, Probabilmente è grazie all'intervento di Andrée Vaurabourg, moglie del compositore, che la revisione della partitura originale fu affidata a Pierre Boulez, il quale racconta che gli fu chiesto di “amplificare questa partitura, di fare qualcosa che si adattasse non solo con la messa in scena ma anche con le dimensioni del teatro. [...] Ho ridotto la strumentazione di questa partitura ma l'ho ingrandita dal punto di vista del tempo (della durata); ho dovuto scrivere nuovi pezzi di musica seguendo gli elementi ed i frammenti che Honegger aveva lasciato. Queste aggiunte sono, se volete, pastiches che tuttavia spero non siano riconoscibili...”.
Certamente Boulez lavorò con grande acribia gli inizi e le fini di ogni frammento musicale (solamente gli interludi alla fine o all'inizio degli atti mantengono la loro primitiva funzione), le ripetizioni necessarie, comprese interruzioni improvvise ed impreviste all’arrivo di una precisa parola del testo, lo sviluppo parallelo di testo e musica, e fece proliferare nuovi elementi da quelli già esistenti: una monodia che diventa polifonia, una figurazione ritmica che diventa un motivo-guida, armonizzazioni "à la Messiaen" di linee semplici.
È tuttavia molto difficile scoprire solamente dall’ascolto gli interventi di Boulez e soltanto uno studio approfondito e comparativo ci può aiutare a discernere la parte di ciascun compositore in questo lavoro. D’altra parte, come afferma la figlia di Honegger, Pascale, “questa partitura è metà Boulez, metà Honegger".
Come succede con molte musiche di scena per spettacoli teatrali, una volta scomparsa l'opera dal cartellone gli elementi che la accompagnavano scompaiono, e questa musica non fece eccezione. Rimase soltanto una breve indicazione della sua esistenza nell'eccellente biografia di Honegger scritta da Harry Halbreich, che indicava come persa la partitura originale di Boulez e il materiale d’orchestra, segnalando tuttavia l'esistenza di una fotocopia difficilmente leggibile ed incompleta della partitura manoscritta.
Da qui, l’inizio, mesi fa, della nostra avventura alla ricerca del materiale per eseguire l’opera, premiata solo all’ultimo istante dalla scoperta della partitura manoscritta originale e delle parti d'orchestra nel Fondo Jean-Louis Barrault della Bibliothéque Nationale de France, materiale che ci ha permesso una ricostruzione molto affidabile della versione che ascolterete questa sera.
Un’avventura costellata dunque di numerosi “Holzwege” che ha coronamento nel concerto di oggi, in cui potremo nuovamente ascoltare una musica scritta da due grandi compositori del nostro tempo che ha riposato in un armadio per sessant'anni...
Arturo Tamayo
Intervista a Pascale Honegger
Arthur Honegger ha scritto un gran numero di partiture per film, o rappresentazioni teatrali, alcuni dei quali sono diventati poi famosi. Che rapporto aveva suo padre con queste due arti?
Il cinema ed il teatro sono state le due grandi passioni di mio padre. Ricordo che appena ne aveva la possibilità ci andava con i suoi amici, tra i quali Jean Louis Barrault, e quando il lavoro gli permetteva di avere una serata libera, portava anche me.
Paul Claudel, di cui si celebra quest'anno il 150° anniversario dalla nascita, sembra essere stato uno degli autori preferiti di suo padre: ha ricordi del rapporto fra i due?
Ricordo che mio padre nutriva grande rispetto per Claudel come persona e profonda ammirazione per le sue opere; quando lavoravano insieme, inoltre, si intendevano alla perfezione.
Pierre Boulez era considerato un "enfant terrible", temuto per le sue osservazioni sarcastiche e a volte anche estremamente offensive, ma sembra aver sempre avuto grande considerazione per la musica di suo padre. Come erano i suoi rapporti con la vostra famiglia?
Boulez conobbe mia madre Andrée Vaurabourg quando era molto giovane e fu suo allievo almeno due anni di contrappunto e fuga. È stato mio padre a introdurlo a Jean Louis Barrault come “direttore musicale” della sua compagnia, collaborazione che ha permesso a Boulez di iniziare la sua carriera. Più tardi rielaborò la musica che mio padre scrisse per la versione radiofonica di “Tête d’Or” di Claudel, per la rappresentazione di Barrault che ebbe luogo dopo la morte di mio padre. La musica che si ascolterà nel concerto di domenica è una versione inedita della partitura, con elementi che non furono inclusi nella prima versione resa nota al pubblico e che per lungo tempo sono stati dimenticati.
Dunque, in definitiva, questa rielaborazione appartiene più a Honegger o a Boulez…?
Secondo me siamo davanti a una partitura “metà Honegger, metà Boulez”.
Federica Basso